Jasper Humlin è un poeta svedese di successo. E’ preoccupato per l’abbronzatura, ha una fidanzata che vuole da lui un figlio, una madre di 87 anni che gestisce una chat erotica per anziani, un agente letterario che cerca di convincerlo a scrivere un poliziesco “perché la poesia non vende più”, e un consulente finanziario che lo ha mal consigliato e quasi gettato sul lastrico.
Un amico ex pugile lo convince a visitare la sua palestra in un quartiere difficile di Göteborg, frequentata per lo più da immigrati. Alcuni di loro sono desiderosi di incontrarlo, perché vogliono vedere da vicino un vero scrittore. E la sua vita cambia.
Humlin conosce Tea-Bag, una enigmatica ragazza nera fuggita da un imprecisato paese africano, Leyla, una giovane iraniana obesa che vuole imparare a scrivere per diventare ricca, e la taciturna Tanya, una abilissima ladra che arriva dall’Est e cambia nome con la stessa frequenza con cui scassina le porte degli appartamenti vuoti dove dorme. Riluttante, accetta di mettere in piedi per loro un corso di scrittura, ma si ritroverà coinvolto nei loro problemi di irregolari, o anche semplicemente diverse, come è il caso di Leyla che alla fine, unica, troverà la forza di staccarsi da una famiglia opprimente e di cercare una sua strada. Problemi così lontani da quelli a cui Humlin è abituato da risultargli quasi sempre incomprensibili. E destinati a restare tali anche quando, superando dubbi e paure, deciderà di aiutarle raccontando le loro storie a una società asettica e indifferente come quella svedese.
Il romanzo di Henning Mankell “Le ragazze invisibili”, scritto nel 2001 e pubblicato in Italia l’anno scorso da Marsilio, lascia i lettori con il dubbio. Non sapremo mai se alla fine Humlin riuscirà a portare a termine il libro che si è ripromesso di scrivere, se metterà su carta le vite straordinarie e disperate delle ragazze. Forse no, perché, come gli dice Tea-Bag in una pagina memorabile “sono venuta in questo paese per raccontare la mia storia. L’ho fatto e nessuno mi ha ascoltato. Ci alzeremo e ce ne andremo. Ci vedrai sparire. Non ci saremo più, nient’altro”. Ma Mankell, fortunatamente, lo ha fatto, e il suo libro, così diverso dai polizieschi del commissario Wallander che lo hanno reso famoso in tutto il mondo, è un poetico e commovente contributo alla causa di un mondo senza barriere. Perché i nomi di Tea-Bag e delle sue amiche sono di fantasia, ma le loro storie sono vere.
Battista Gardoncini