“Madres Paralelas”, di Pedro Almodóvar, è un film bellissimo, teso e coinvolgente anche quando scade nel melodramma che da sempre è parte dello stile del regista spagnolo. Fonde con rara maestria le vicende individuali con quelle collettive di una Spagna che non è ancora riuscita a superare i traumi della guerra civile, e regala allo spettatore due ore di vero cinema. Da non perdere nelle sale, anche se è stato coprodotto da Netflix e prima o poi sarà disponibile in streaming.
L’affermata fotografa Janis, interpretata dalla splendida Penélope Cruz, e la minorenne Ana, interpretata dalla brava Milena Smit, partoriscono due bambine nello stesso giorno nello stesso ospedale. Sono madri single e simpatizzano, ma le loro strade si separano. Sarà il caso a riunirle qualche tempo dopo, in un modo che nessuna delle due avrebbe immaginato.
Accanto alla vicenda principale Almódovar ne ha sviluppate altre due. C’è il rapporto di Janis con il padre della bambina, un antropologo forense che non vuole assumersi responsabilità, ma è disposto ad aiutarla per riesumare i resti del bisnonno e di altri militanti uccisi dai falangisti, sepolti in una fossa comune. E c’è il rapporto di Ana con gli anaffettivi genitori, una madre che la considera un freno alla sua carriera di attrice e un padre lontano che non si vede mai. Apparentemente si tratta di storie separate, ma Almódovar riesce nel gioco di prestigio di legarle in una coerente riflessione su ciò che davvero importa nella vita, sulla forza della verità e sulla storia “che non si può zittire”, come dice la frase di Eduardo Galeano che precede i titoli di coda.
In questo senso“Madres Paralelas” è un film politico che non parla di politica, dove basta un’unica potente inquadratura – quella dei parenti delle vittime schierati sull’orlo della fossa comune appena riportata alla luce – a ricordare che il passato è parte di noi. In Spagna, e anche in Italia.
gbg