Uno dei momenti più intensi di “La verità negata”, un bel film del 2016 diretto da Mick Jackson e basato su una storia vera, è la visita della protagonista e del suo avvocato al campo di sterminio di Auschwitz. Lei è la storica ebrea Deborah Lipstadt, autrice di un libro dove ha accusato lo scrittore britannico David Irving di antisemitismo, negazionismo e razzismo, e per questo è stata da lui querelata. Davanti ai reticolati, agli abiti delle vittime e ai resti delle camere a gas Deborah cede alla commozione, mentre l’avvocato Richard Ramport, incaricato di difenderla in aula dalle accuse di Irving, si comporta con apparente freddezza, è interessato ai dettagli tecnici che gli fornisce la guida, e prende appunti.
Il contrasto tra i due personaggi, emotiva e appassionata lei, calmo e concentrato sulle strategie giudiziarie lui, rende difficili le prime fasi di un processo seguito dalla stampa e dagli storici di tutto il mondo per le sue implicazioni sulla valutazione dell’Olocausto, sul dovere della memoria e sulla libertà di parola. Lei, newyorkese del Queens, non capisce le sottigliezze del sistema giudiziario inglese. Lui indossa la parrucca e si inchina con deferenza davanti al giudice. Lei vorrebbe far parlare in aula i superstiti del campo, lui vuole limitarsi a contestare punto per punto le controverse tesi di Irving. Lei vorrebbe deporre, lui le consiglia di tacere. La sentenza arriverà soltanto dopo quattro anni di udienze, dibattiti e schermaglie procedurali.
I due protagonisti sono bene interpretati da Rachel Weisz e Tom Wilkinson, mentre Timothy Spall è uno strafottente Irving, troppo interessato a consolidare la sua fama di intellettuale controcorrente per tenere a freno la lingua.
“La verità negata” aveva a suo tempo avuto una buona accoglienza dal pubblico e dalla critica. Vederlo o rivederlo in questi giorni su Amazon Prime è anche un modo per celebrare la giornata della memoria e dire no al negazionismo che sta rialzando la testa.
gbg