“La signora delle rose”, del regista francese Pierre Pinaud, è una elegante commedia di buoni sentimenti che non scadono nel melenso. Novanta minuti da non perdere se amate i fiori, le case di campagna e le dolci colline del Midi.
Eve, interpretata dalla bravissima Catherine Frot, è una signora di mezza età che gestisce una piccola azienda specializzata nella produzione di ibridi di rosa. Nel suo campo è una indiscussa autorità, ma il mercato è dominato dal grande industriale Lamarzelle, e le difficoltà finanziarie la stanno strangolando. La fedele segretaria Vera la convince a dare lavoro a Fred, Nadir e Nadège nell’ambito di un progetto di reinserimento sociale. Con il loro riluttante aiuto, e con metodi non proprio ortodossi, Eve cerca di creare un ibrido perfetto, che le consenta di vincere l’importante concorso internazionale di Bagatelle e di rilanciare l’azienda.
Ma la trama è soltanto un pretesto per raccontare il processo di rinascita dei protagonisti, che trovano in sé, in modo del tutto inaspettato, la capacità di reagire alle avversità. Ci sono Eve, decisa a non cedere alle lusinghe di Lamarzelle che vorrebbe comperare la sua proprietà, e Vera, che la aiuta senza chiedere nulla in cambio. Ma soprattutto ci sono la timida Nadège, sempre sull’orlo del pianto, Il colto Samir, sconfitto dalla vita e alla disperata ricerca di un’ultima occasione, e il giovane Fred, abbandonato dai genitori, ma dotato di un olfatto capace di distinguere anche gli odori più sottili.
Al centro di tutto ci sono la delicata bellezza delle rose e il fascino dei procedimenti artigianali di ibridazione, che consentono di creare esemplari sempre più raffinati e ricercati dai collezionisti. Pierre Pinaud li racconta con un dettaglio e un amore che dimostrano una antica consuetudine. E infatti alla fine del film c’è una dedica a sua madre, che scopriamo da Wikipedia essere una nota orticultrice.
gbg