Accade spesso che nel cinema italiano cosiddetto “d’autore” la noia regni sovrana a causa dei lunghi silenzi e delle lentissime panoramiche che si perdono nel nulla, mentre in quello di cosiddetto “intrattenimento”, la gigioneria degli interpreti, con le loro battute sempre uguali, non basti a sopperire alla povertà delle idee e delle sceneggiature. Sono pochi i registi non incasellabili, capaci di divertire e anche di dire qualcosa di profondo. Uno di questi è Paolo Virzì, in questi giorni nelle sale con “Siccità”.
In una Roma rimasta senz’acqua per la prolungata assenza di pioggia il Tevere è in secca, l’acquedotto funziona a singhiozzo e le autobotti riforniscono i quartieri poveri distribuendo cinque litri di acqua al giorno per ogni famiglia. Nessuno si lava, gli scarafaggi sono diventati una presenza costante in tutti gli alloggi, e le tensioni sociali degenerano in scontri di piazza. Il governo è impotente, nelle televisioni impazzano gli esperti che non hanno nulla da dire, e intanto negli ospedali arrivano le prime vittime della tripanosomiasi, la malattia del sonno, endemica in Africa. Solo per i ricchi la vita continua come prima.
In questo scenario apocalittico si aggirano i molti personaggi di Virzi. Silvio Orlando, Claudia Pandolfi, Valerio Mastandrea e Monica Bellucci sono i volti più noti, ma anche gli altri sono efficaci nell’interpretare le angosce di individui alle prese con una vicenda più grande di loro, come è accaduto e ancora potrebbe accadere con il Covid.
La fotografia ci restituisce una Roma non convenzionale, piena di inquietanti sfumature rossastre che sottolineano il suo disfacimento. Il Tevere in secca visto dall’alto, in particolare, è un vero pezzo di bravura. Virzì lo ha ripreso con i droni, sovrapponendo in post-produzione le immagini girate in una cava a quelle del fiume. Molto bella la colonna sonora di Franco Piersanti, premiata a Venezia.
gbg