Da cinque annida sua unica figlia Allison è in carcere a Marsiglia per l’omicidio della compagna. Bill Baker, un ex alcolizzato che lavora negli impianti petroliferi di Stillwater, in Oklahoma, attraversa l’oceano tutte le volte che può per esserle vicino. E’ convinto della innocenza della figlia e si batte per fare riaprire le indagini sull’omicidio, ma non conosce una parola di francese ed è costretto a ricorrere all’aiuto di una riluttante madre single francese. Il caso gli dà una mano, ma il prezzo da pagare è alto.
“La ragazza di Stillwater”, da pochi giorni nelle sale, è l’ultimo film di Tom McCarthy, vincitore di due Oscar nel 2016 con “Spotlight”, una avvincente ricostruzione della inchiesta giornalistica che portò alla luce numerosi casi di pedofilia nelle parrocchie di Boston. E non delude le aspettative, grazie anche alla splendida interpretazione di un Matt Damon che riesce a disegnare un personaggio appesantito nel fisico e ferito dalla vita, molto diverso da quelli cui siamo abituati. Ottimi anche gli altri interpreti, Abigail Breslin nella parte della antipaticissima figlia di Baker, Camille Cottin nella parte dell’amica francese, e l’esordiente Lilou Siavaud nella parte della piccola figlia di lei, che risveglia in Baker un sentimento paterno mai provato nei confronti della vera figlia.
“La ragazza di Stillwater” è stato presentato come un giallo, ma non lo è, anche se la vicenda è parzialmente ispirata a un fatto di cronaca che a suo tempo fece scalpore: l’uccisione a Perugia della studentessa inglese Meredith Kercher, della quale furono accusati, condannati e infine assolti i compagni di università Amanda Knox e Raffaele Sollecito. McCarthy è più interessato a scavare nella psicologia dello spaesato protagonista e nella sua incapacità di capire la figlia, che era fuggita a Marsiglia per stare lontana da lui e dall’opprimente atmosfera dei campi petroliferi dell’Oklahoma. E ci riesce molto bene.
gbg