La persona peggiore del mondo

Un prologo, un epilogo, e dodici episodi, alcuni importanti, altri meno, nella vita di Julie, una ragazza norvegese che si sta avvicinando ai trent’anni senza avere combinato molto nella vita. “La persona peggiore del mondo”, del regista Joachim Trier, è un film volutamente irrisolto, come irrisolta è la vita della protagonista, splendidamente interpretata da Renate Reinsve, premiata a Cannes come migliore attrice. Lascia lo spettatore un po’ spiazzato, a volte perfino irritato per le due ore abbondanti dedicate alle vicende di una persona che i nostri nonni, ignari del politicamente corretto, avrebbero definito “una faccia da schiaffi”. Però, una volta usciti dalla sala, non si può smettere di pensare a Julie e alle sue scelte. E ci si rende conto che lei non è un caso isolato e che i suoi inconcludenti tormenti esistenziali sono comuni a molti giovani d’oggi.

Julie, studentessa brillante, abbandona la facoltà di medicina perché si convince che il corpo è meno importante della mente, e quella di psicologia perché la mente le sembra troppo astratta e preferisce fare qualcosa di pratico. Quindi trova un lavoro come commessa in una libreria, ma non si sente realizzata. Decide di scrivere, e non trova l’ispirazione. Si dedica alla fotografia, e i risultati non sono quelli sperati. I rapporti con la famiglia sono quasi inesistenti. Un amore con un fumettista di successo finisce perché lui sa quello che vuole ed è troppo vecchio. Un muscoloso sconosciuto entrato per caso nella sua vita avrebbe l’età giusta, ma è un po’ tonto, e la passione non basta a tenerli uniti.

Nel film ci sono alcuni momenti davvero divertenti, come il dibattito televisivo in cui il fumettista cerca di spiegare a due acide intervistatrici perché i suoi personaggi parlano con un linguaggio sboccato e si comportano anche peggio. Altri sono meno riusciti. Ma nel complesso “La persona peggiore del mondo” non è il film peggiore del mondo, e vale la pena di vederlo.

gbg

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