“1917” di Sam Mendes ha ottenuto ben dieci nomination per gli Oscar 2020, una in meno di “Joker” di Todd Phillips, e alla pari con “C’era una volta…a Hollywood” di Quentin Tarantino e “The Irishman” di Martin Scorsese. I nomi dei vincitori saranno resi noti solo lunedì, ma se fossi un giurato non avrei dubbi: il polpettone sulla prima guerra mondiale del regista inglese non è al livello degli altri tre, e neppure di altri film in concorso come “Parasite” del coreano Bon Joon Ho. Perfino il suo punto di forza, l’essere stato girato in un unico piano sequenza, con le cineprese che seguono gli attori in tempo reale e senza stacchi apparenti, è interessante, ma alla lunga risulta artificioso.
La storia è semplice. Le truppe inglesi combattono in Francia contro i tedeschi in una guerra di trincea dove gli orrori vengono amplificati dalle scelte insensate degli alti comandi. Due veterani vengono incaricati di attraversare la terra di nessuno per fermare l’attacco suicida di un reggimento. L’impresa è difficile, ma uno dei due è particolarmente motivato perché in quel reggimento è in servizio suo fratello. La loro corsa contro il tempo si dipana attraverso fango, trincee e cadaveri, in un mondo sconvolto dalle bombe che a volte, inaspettatamente, offre intatti scorci agresti.
La performance degli attori protagonisti, George MacKay e Dean-Charles Chapman, è notevole, perché la tecnica di ripresa scelta da Mendes li costringe a correre e a strisciare davvero in un ambiente difficile, e per lunghi periodi. La loro è una fatica reale, e si vede. Ma lasciano francamente perplessi alcuni momenti che sembrano inseriti a forza per piacere a Hollywood, come l’incontro con una ragazza e una neonata nelle rovine di un paese devastato o la caduta nel fiume.
“1917”, come tutti i film di Mendes, è comunque un buon prodotto. Basta dimenticarsi che sulla Grande Guerra esistono capolavori come “Orizzonti di gloria” di Kubrik e “Uomini contro” di Francesco Rosi.
gbg