Un po’ giallo, un po’ commedia brillante, un po’ film in costume, e anche un pizzico di denuncia proto-femminista del ruolo subalterno delle donne nella società. “Mon crime – La colpevole sono io”, di François Ozon può essere letto su piani diversi, apparentemente leggeri, ma costruiti con intelligenza per far pensare senza cadere nel didascalico. Peccato per il doppiaggio italiano, che non rende giustizia alla bravura degli attori protagonisti, su tutti un Fabrice Luchini spassosissimo nei panni di un giudice cialtrone e una Isabelle Huppert che si diverte nei panni di un ex diva del cinema muto.
Siamo nel 1935 a Parigi. La giovane attrice squattrinata Madeleine Verdier, interpretata da Nadia Tereszkiewicz, rifiuta le indesiderate attenzioni di un anziano produttore e fugge dalla sua villa. Poco dopo lui viene trovato cadavere, ucciso da un colpo di pistola, e lei diventa la principale sospettata del delitto. Innocente, sceglie di confessare su consiglio della sua coinquilina avvocato Pauline Mauléon, interpretata da Rebecca Marder, che trasforma il processo nel trampolino di lancio delle loro carriere. Ma lussi e ricchezze sono a rischio quando il vero colpevole decide di farsi avanti.
Ozon è un autore prolifico, capace di muoversi con disinvoltura tra i generi cinematografici, mantenendo però una costante che alcuni critici hanno definito una “vena mortifera”. E’ stato così per “Il tempo che resta”, storia delicata e tragica di un fotografo che scopre di avere pochi mesi di vita, per la cronaca di una eutanasia di “E’ andato tutto bene”, per la riflessione sull’AIDS di “Estate ’85”, e per “Doppio amore”, che racconta la passione di una donna fragile per il suo analista.
Con “Mon crime – La colpevole sono io” il regista dimostra di saperci fare anche in un genere completamente diverso, che consente allo spettatore di uscire dalla sala a cuor leggero. E di questi tempi non è poco.
gbg