Se amate il cinema, “Io e Mr. Wilder”, di Jonathan Coe, pubblicato in Italia da Feltrinelli, è il libro che fa per voi. Un piccolo delizioso romanzo che racconta la storia di Billy Wilder impegnato nella realizzazione di “Fedora”, uscito nel 1978 con scarso successo di pubblico, ma oggi considerato uno dei film più significativi del grande regista austriaco trapiantato a Hollywwod.
La voce narrante del romanzo è la giovane greca Calista, che incontra casualmente Wilder e il suo sceneggiatore Iz Diamond e viene aggregata alla troupe come interprete. Animo gentile e pianista dilettante, ma priva di cultura cinematografica, Calista assiste affascinata ai dialoghi tra i due inseparabili amici, li segue sul set, osserva come gestiscono gli attori e le comparse, e scopre un mondo che negli anni seguenti diventerà anche il suo, perché si guadagnerà da vivere scrivendo musiche da film.
Nel romanzo vengono approfonditi anche altri aspetti: le angosce esistenziali di un uomo che per tanti anni è stato all’apice della fama e ha vinto sei Oscar, ma deve fare i conti con le nuove generazioni di registi hollywoodiani, gli Spielberg e gli Scorsese, che hanno idee diverse dalle sue. E non solo.
“Fedora è uno dei film più seri che abbia mai fatto – dice un Wilder in vena di confidenze a Calista – voglio che sia serio, voglio che sia triste, ma non significa che la gente, quando esce, debba sentirsi come se avesse tenuto per due ore la testa nel cesso. Bisogna dare al pubblico qualcosa di diverso, qualcosa di bello, di elegante. La vita è brutta, lo sappiamo tutti, non occorre andare al cinema per scoprirlo”.
Non a caso, uno dei momenti più toccanti del romanzo è il confronto tra Wilder e un giovane tedesco negazionista. Prima di chiedergli di andarsene, Wilder gli racconta la sua vita di ebreo perseguitato e costretto a fuggire dalla Germania nazista, di sua madre, del suo patrigno e di sua nonna scomparsi nell’inferno dei lager. E conclude il discorso con una domanda fulminante come tante battute dei suoi film. “il che mi porta alla domanda che intendevo porle. Una domanda molto semplice, e cioè questa: se non c’è mai stato l’Olocausto, allora dov’è mia madre?”
Jonathan Coe è un scrittore elegante, spiritoso, abile nella costruzione degli intrecci. Ma in questo romanzo ha saputo farsi da parte, attingendo a piene mani a quanto è stato scritto su Wilder, ai documentari che sono stati realizzati sulla sua opera, ai racconti delle persone che lo hanno conosciuto. Nella nota finale paga il suo debito elencando con scrupolo tutte le parti che non sono farina del suo sacco, ma arrivano direttamente dalle brillanti conversazioni di Wilder. E chi ha visto i suoi capolavori non può fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello sedersi a tavola con lui.
Battista Gardoncini