“Mank” di David Fincher, da poco uscito su Netflix, racconta in un affascinante bianco e nero la storia dello sceneggiatore Herman Jacob Mankiewicz, un talento indiscusso che morì a soli 56 anni distrutto dall’alcol e dal gioco d’azzardo, ma ebbe il tempo di vincere un Oscar insieme a Orson Welles per il soggetto di “Quarto Potere”.
Nel film Mank è interpretato da uno strepitoso Gary Oldman, che ripete il miracolo già realizzato interpretando Churchill ne “L’ora più buia”, e riesce a modificare tono di voce, aspetto e comportamenti per meglio aderire alla parte, che segue il protagonista in due momenti diversi della vita.
Il primo è tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, quando la cultura, il caustico umorismo e la straordinaria capacità di scrittura aprono a Mank le porte della Hollywood che conta, alle prese con il delicato passaggio dal cinema muto al sonoro. Lo sceneggiatore frequenta lo spregiudicato capo della Metro Goldwin Mayer, Louis B. Mayer, ma non ne apprezza le posizioni politiche reazionarie e sostiene senza successo la corsa a governatore della California del progressista Upton Sinclair. Tra una bevuta e una partita a carte diventa amico del magnate della stampa William Randolph Hearst, che lo accoglie nella sua corte.
Dieci anni dopo – siamo nel 1941 – un Mank immobilizzato a letto per i postumi di un incidente stradale scrive in sessanta giorni per Orson Welles la sceneggiatura di “Quarto Potere”. Secondo il contratto non avrebbe dovuto firmarla, ma è consapevole di avere realizzato un capolavoro, e chiede a un riluttante Welles di essere accreditato. Lo ottiene, ma Hearst si riconosce nel protagonista e cerca senza successo di impedire l’uscita del film. Per Mank, minato dagli stravizi, si chiudono tutte le porte. Muore dodici anni dopo, quasi dimenticato, mentre il fratello minore Joseph, cresciuto nel suo mito, diventa uno dei registi più importanti di Hollywood e vince quattro Oscar.
gbg