Illustri e sconosciuti. Proprio così: nomi di grande prestigio e ignorati, tutti, nessun dubbio a riguardo, sia dal grande pubblico che dai cosiddetti “spettatori forti”. Noti, e apprezzati, soltanto a una nicchia molto ristretta. Una scelta di “rigore” cinefilo assoluto. Da questo punto di vista, il rigore, non si poteva fare di meglio. E il Torino film festival (18-24 novembre) col suo direttore Emanuela Martini, lo ha fatto. Tra i cinque giurati non c’è un solo nome riconoscibile, qualcuno per cui lo spettatore, forte o debole che sia, possa dire mi piace, lo detesto, l’ho visto in quel film, ho visto un suo film. Niente di niente.
La più nota è l’attrice israeliana Adas Yaron, premiata come migliore interprete femminile a Venezia e a Torino, qui per il bel film canadese “Felix e Meira”. L’anno scorso ha anche partecipato, non da protagonista, al film italiano, “La felicità è un sistema complesso”. Giovane attrice di spessore, certo, anche perché premiata con riconoscimenti prestigiosi. Conosciuta, tuttavia, soltanto dagli addetti ai lavori. Da noi non ha fama, né tantomeno popolarità.
Il più importante è, invece, il grande direttore della fotografia americano Ed Lachman, che ha creato le luci di film di Altman, Herzog, Wenders, Godard e altri; con il recente film “Carol” ha ottenuto 2 nomination agli Oscar. Un cineasta di valore assoluto, che nessuno conosce.
Gli altri tre sono uno scrittore, regista e attore canadese, una produttrice olandese, e un giovane regista rumeno. Apprezzati da chi frequenta festival e si tiene molto informato sulle cose di cinema.
Una scelta estrema, si direbbe, quella per la giuria di quest’anno. Eppure, nel corso delle altre 33 edizioni non è mai mancato almeno un personaggio che potesse incuriosire il cosiddetto grande pubblico, quegli spettatori che non frequentano abitualmente il festival, ma che di fronte a un attore, un regista che riconoscono, possono essere tentati di fare almeno una capatina. Qualche nome: Valerio Mastandrea, Marco Bellocchio, Valeria Golino, Paolo Sorrentino, Barbora Bobulova, lo scrittore Joe Lansdale. Solo alcuni.
Senza pensare di scomodare per gli alti costi se non altro di spostamento e di ospitalità Robert De Niro e Robert Redford che con i loro festival in America dedicati al cinema indipendente e ai debuttanti, sono in sintonia col festival di Torino – il TriBeCa De Niro, il Sundance Redford, con Martin Scorsese che ne è stato spesso “padrino” -, un attore, un regista italiano, francese o inglese a basso costo e buoni anche per il grande pubblico si potevano trovare.
E’ vero che il festival di Torino è un po’ speciale, diverso dagli altri e orgoglioso di quella sua “diversità” che è insieme una scelta e una necessità, povero ma bello, rigoroso, cinefilo, metropolitano, senza lustrini, paillettes e tappeti rossi, senza divi e senza divismo, senza gente delirante che mendica un autografo.
Eppure, anche il pubblico, il grande pubblico, anche la città che non frequenta e perfino non conosce il festival, ma che potrebbe conoscerlo, vuole la sua parte. E così i giornali e le televisioni. E una via di mezzo, come bene o male è stato fatto fino all’anno scorso, si può anche cercare. A partire dai componenti della giuria. Ora è atteso il programma della 34esima edizione e con l’elenco dei film, gli ospiti. Qualche nome popolare non dovrebbe mancare. Perché il festival non si chiuda in se stesso.
Nino Battaglia