Il viaggio di Harold Fry

Harold Fry e la moglie Maureen sono due anziani coniugi che quasi non si parlano e non hanno più nulla da chiedere alla vita. Un giorno Harold riceve una lettera da Queenie, una vecchia amica che sta morendo in una casa di cura all’altro capo dell’Inghilterra. Qualcosa scatta in lui, e si convince che percorrendo a piedi  le centinaia di miglia che li separano potrebbe forse aiutarla. Così incomincia a camminare.

“L’imprevedibile viaggio di Harold Fry”  ha una trama esile soltanto in apparenza. In realtà  la regista Hettie MacDonald e la sceneggiatrice Rachel Joyce hanno costruito un film interessante e in molti punti coinvolgente, a cui si perdona volentieri qualche piccola caduta nel melenso grazie alla superba interpretazione di Jim Broadbent nei panni del protagonista. 

Nel corso del suo viaggio Harold incontra persone di tutti i tipi. Molti sono gentili. Qualcuno lo aiuta, qualche altro gli è ostile. Ma quando l’articolo di un giornalista incontrato per caso attira l’attenzione su di lui, Harold intuisce che se vuole fare i conti con la sua vita – e ricucire il rapporto con la moglie –  deve proseguire da solo. Lentamente, grazie a un oculato uso dei flashback, lo spettatore capisce che la sua marcia è in realtà un pellegrinaggio, uno strumento per capire se stesso ed espiare le colpe, vere o presunte, che hanno guastato il suo matrimonio e anche l’amicizia con Queenie.

Nel 2002 Jim Broadbent ha vinto l’Oscar come migliore attore non protagonista per il film “Iris – Un amore vero”, ma nella sua lunga carriera ha ricevuto tanti altri premi prestigiosi. Tutti ampiamente meritati, come dimostra anche qui disegnando un personaggio tormentato, dolente e soprattutto credibile. Lo affianca nei panni di una moglie disorientata e alla fine solidale, un’ottima Penelope Wilton. E merita una menzione anche il paesaggio inglese, esaltato da una splendida fotografia e stranamente non troppo piovoso.

gbg 

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