Il triangolo della tristezza

Caustici, irriverenti e formalmente ineccepibili, i film del regista svedese Ruben Östlund hanno tutto quello che serve per piacere alle giurie dei festival, che li premiano a ripetizione. Oltre a svariati altri riconoscimenti, Östlund ha vinto per due volte la Palma d’Oro a Cannes, nel 2017 con “The Square” e quest’anno con “Triangle of Sadness”, da pochi giorni nelle sale.

Che cosa sia questo “triangolo della tristezza” viene spiegato nella prima esilarante scena del film, dove una sfilata di aspiranti modelli si sottopone a un casting. Uno di loro, Carl, viene poi seguito al ristorante, dove litiga su chi deve pagare il conto con la fidanzata Yoyo, una seguitissima influencer. Poi i due fanno la pace e li ritroviamo a bordo di una nave da crociera di lusso, dove la ragazza è stata invitata in cambio di un po’ di pubblicità. Sulla nave l’equipaggio fa di tutto per compiacere i ricchissimi ospiti. Ma il maltempo e le intemperanze di un capitano marxista, splendidamente interpretato da Woody Harrelson, complicheranno alquanto le cose.

La storia deve molto alla lezione di Bunuel, passione dichiarata di Östlund. Con le sue esagerazioni e i suoi momenti grotteschi, è un pretesto per prendere in giro i vizi della civiltà occidentale e ridere della sua prossima, inevitabile fine. Il meccanismo è quello collaudato del ribaltamento dei ruoli: i miliardari che martirizzano le hostess, addestrate a non dire mai di no, si trasformano in vittime per la loro incapacità di adattarsi alle circostanze. Lina Wertmüller, in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto” aveva fatto una operazione analoga con la spocchiosa Mariangela Melato e il rude Giancarlo Giannini. 

Gli attori di Östlund sono molto efficaci. Belli, bravi e antipatici quanto basta i due protagonisti, l’inglese Harry Dickinson e la modella sudafricana Charlbi Dean Kriek. Lei purtroppo è morta pochi mesi fa, ad appena 32 anni, per una “improvvisa malattia”.

gbg

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