“Il signore delle formiche” di Gianni Amelio, presentato in concorso a Venezia, ricostruisce il caso dell’ex partigiano e intellettuale comunista Aldo Braibanti, che nel 1968 fu processato e condannato a nove anni di carcere con la controversa accusa di plagio. Il relativo articolo del codice penale era un retaggio del fascismo mai applicato prima e qualche anno dopo fu abolito. In realtà fu usato per colpire la sua “scandalosa” relazione omosessuale con un allievo maggiorenne e consenziente, osteggiata dalla famiglia del giovane. Grazie a una forte mobilitazione del mondo della cultura Braibanti tornò in libertà dopo due anni, mentre la famiglia fece ricoverare il compagno in un ospedale psichiatrico, dove la sua presunta malattia fu curata con la barbara tecnica dell’elettrochoc.
Quella di Amelio è dichiaratamente una libera ricostruzione della vicenda, che si prende qualche licenza artistica di troppo. Ad esempio non corrisponde alla realtà la figura dell’odioso e bacchettone direttore de “L’Unità” che censura gli articoli del cronista incaricato di seguire il processo, e lascia molto perplessi la presenza dell’anziana Emma Bonino tra i giovani che manifestano a favore di Braibanti, voluta dal regista per simboleggiare la lotta dei radicali per ottenere l’abolizione del reato di plagio. Ma nel complesso “Il signore delle formiche” è un film bello e coinvolgente, dove l’omosessuale Amelio racconta anche molto di sé e delle sue vicende personali. Lo aiuta in questo la bravura degli interpreti. Su tutti uno splendido Luigi Lo Cascio nei panni di Braibanti e un bravo Elio Germano nei panni del giornalista che prende a cuore il suo caso. L’esordiente Leonardo Maltese è molto efficace nel tratteggiare la figura dell’allievo affascinato dalla poliedrica cultura del maestro. Filosofo, poeta e uomo di teatro, Braibanti era anche un mirmecologo appassionato dalla complessa organizzazione sociale delle formiche.
gbg