Fabrice Luchini è un attore straordinario, capace di illuminare con la sua recitazione misurata e le sfumature di una mimica inconfondibile qualunque film. Dal suo incontro con un altro attore della stessa levatura, Patrick Bruel, e con la coppia di registi Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, è nato un piccolo capolavoro di eleganza e malinconia: “Il meglio deve ancora venire”, da poco approdato nelle sale italiane.
La storia è semplice. Luchini e Bruel sono amici per la pelle. Luchini, medico, scopre che il suo amico è gravemente ammalato e gli restano pochi mesi di vita. Bruel, che ancora non ha sintomi e affronta la vita nel suo solito modo spensierato e gaudente, si convince che l’ammalato è Luchini, e decide di fare di tutto per allietare i suoi ultimi giorni. Luchini non ha il coraggio di dirgli la verità. Lo asseconda tornando con lui nei luoghi dell’infanzia, accetta il regalo di un cane, e segue, inizialmente con riluttanza, i consigli sulle donne che l’amico gli dà per aiutarlo a superare il trauma di un recente divorzio.
Per tutta la prima parte del film il registro è leggero, aiutato da una sceneggiatura ricca di situazioni di irresistibile umorismo. Memorabile è la scena in un ristorante di lusso, dove Bruel coinvolge Luchini in una scena di seduzione. Lo scopo è didattico, ma un cameriere li scambia per una coppia di omosessuali e li invita a moderarsi. Fingendosi indignati, i due se ne vanno senza pagare il conto. Nella seconda parte, però, le cose cambiano. La malattia incombe, e per entrambi arriva il momento di fare i conti con la realtà.
“Il meglio deve ancora venire” è un film leggero e profondo sull’amicizia, sull’amore e sulla morte, che nasce da esperienze personali drammatiche: la scomparsa di un’attrice che i due registi avevano diretto in un film precedente, e la grave malattia di uno dei due, che per qualche mese ha dovuto a sua volta fare i conti con la possibilità di morire. Da vedere.
gbg