Molti attori, nel corso degli anni, hanno interpretato il commissario Maigret, nato dalla penna di Georges Simenon. Pochi hanno legato in modo indissolubile il loro volto al personaggio: Jean Gabin in Francia, Charles Laughton in Inghilterra e Gino Cervi in Italia, in una serie di sceneggiati televisivi prodotti dall’allora funzionario RAI Andrea Camilleri. A loro possiamo adesso aggiungere uno straordinario Gérard Depardieu, diretto da Patrice Leconte in “Maigret”.
Il film è ispirato al romanzo “Maigret e la giovane morta”, uscito nel 1954.
Leconte ricostruisce con grande cura le atmosfere parigine di quegli anni, le tristi soffitte abitate da ragazze di provincia in cerca di fortuna, i locali fumosi della periferia, gli sfarzi dei ristoranti di lusso. E cuce addosso a un appesantito Depardieu il personaggio di un poliziotto stanco, costretto dai problemi di salute ad abbandonare il cibo e le amate pipe, ma non per questo meno determinato nel cercare la verità con il suo solito metodo: immergersi nell’ambiente, parlare con tutti e assorbire dai loro discorsi quei piccoli particolari che alla fine fanno la differenza.
Al centro del caso c’è una giovanissima sconosciuta accoltellata in strada. Un’altra donna incontrata nel corso delle indagini colpisce il commissario per la somiglianza con la vittima, suscita in lui antichi e dolorosi ricordi, e lo aiuta a dipanare la matassa. Soltanto a quel punto Maigret può concedersi il lusso di una pipata in compagnia del fidato ispettore Janvier.
Leconte – che aveva già portato sullo schermo un’altra storia di Maigret – si è preso parecchie libertà rispetto al romanzo, riducendone la trama all’osso per lasciare spazio a un Depardieu in stato di grazia. E l’operazione gli è riuscita così bene da farci sperare in un seguito. In fondo gli spunti non mancano. Simenon era un autore eccezionalmente prolifico, che scrisse questo romanzo in appena undici giorni.
gbg