Pur essendo uno scacchista con una modesta attività agonistica alle spalle, devo confessare di avere sempre guardato con un po’ di sospetto agli autori che hanno ambientato le loro opere letterarie nel mondo degli scacchi: troppo spesso mi sono trovato di fronte a imprecisioni di linguaggio e a semplificazioni dettate dalla necessità di parlare a un pubblico vasto o – peggio – frutto di una irritante superficialità. Così ho a lungo esitato prima di comperare il “Il mago di Riga” di Giorgio Fontana, pubblicato da Sellerio, ma non me ne sono pentito.
Il libro racconta la vita di Michail Tal, che fu campione del mondo per un solo anno, nel 1961, ma ancora oggi, a trenta anni dalla morte, è rimasto nel cuore di tutti gli appassionati per il suo modo unico di giocare, per i sacrifici di pezzi e di pedoni in combinazioni sempre sul filo del rasoio, per l’inesauribile inventiva che a volte lo portava a strafare, ma ci ha regalato alcune delle più straordinarie partite della storia degli scacchi. Sulla scacchiera – diceva – due più due può anche fare cinque. Ed era vero, ma soltanto quando giocava lui.
“Il Mago di Riga” ricostruisce l’inarrestabile ascesa del giovane Tal al vertice degli scacchi mondiali, i suoi anni di gloria, le gravi malattie che lo costrinsero a ritirarsi da molti tornei, l’alcol che beveva a fiumi, le donne che lo cercavano ovunque, i soldi scialacquati, gli sberleffi al potere sovietico che non sempre gli vennero perdonati, e l’inevitabile declino. Il tutto visto attraverso la lente della sua ultima partita, giocata e vinta a Barcellona nel 1992 contro l’emergente campione armeno Vladimir Akopian pochi giorni prima della morte.
Fontana immagina che nel corso di questa partita drammatica, ricostruita con encomiabile rigore filologico grazie ai ricordi dello stesso Akopian, Tal abbia ripensato alla sua vita sempre alla ricerca del divertimento intelligente, alla sua inesausta passione per il gioco, al molto che aveva costruito e anche al molto che aveva perso. Chi ha giocato a scacchi in torneo lo sa: a volte il cervello smette di pensare alla posizione e alle possibili varianti, e si lascia invadere da pensieri estranei, per poi tornare bruscamente alle necessità del gioco con rinnovata energia. Non so se Fontana sia uno scacchista e se abbia pensato a questi momenti scrivendo il suo libro. E naturalmente non sapremo mai se questo accadde a Tal nel corso di una partita che per lui non era poi così importante, tanto è vero che aveva offerto al suo giovane avversario una patta concordata. Sappiamo però che a un certo punto il vecchio campione sentì, come gli era accaduto tante volte nel corso della sua carriera, che sulla scacchiera si stava creando una posizione complicata e ricca di possibilità per entrambi. E che una volta nel suo elemento non lasciò scampo all’avversario.
Insomma, un libro da leggere per chi ama il “nobile gioco” e guarda con dispiacere agli scacchi contemporanei, dove i campioni si comportano come macchine ben programmate e i computer la fanno da padrone.
Battista Gardoncini