Chi lo avrebbe mai detto che io, tifoso del Torino, avrei guardato con interesse un film dedicato a un calciatore che giocò nella Juventus, e con quella maglia vinse addirittura un Pallone d’Oro? Eppure è accaduto per “Il Divin Codino” di Letizia Lamartire, appena uscito su Netflix, che racconta la carriera di Roberto Baggio, uno dei più grandi talenti del calcio mondiale negli anni Novanta. Ed è accaduto perché Baggio era una eccezione nel panorama desolante di un calcio che si era trasformato in una industria, dove ogni cosa doveva essere omologata e finalizzata all’obiettivo di fare soldi. Tutto, nella sua storia, lo rendeva diverso: la tecnica e l’intelligenza tattica che gli consentivano di ridicolizzare avversari ben più prestanti di lui, i gravissimi infortuni superati grazie alla forza di volontà e alla conversione al buddismo, la grande consapevolezza di sé, che molto spesso lo mise in urto con dirigenti e allenatori.
I suoi detrattori dicevano che spaccava gli spogliatoi, e in effetti cambiò spesso squadra, perché le decine di gol che segnava e faceva segnare non lo mettevano al riparo dalle critiche: Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan Bologna, Inter. Soltanto a fine carriera, nel Brescia allenato da Carletto Mazzone, trovò la tranquillità, e sperò che il suo contributo alla salvezza della squadra gli avrebbe aperto ancora una volta le porte di una nazionale che considerava la sua vera casa. Ma l’allenatore Trapattoni non lo portò in Corea, per quello che avrebbe potuto essere il suo quarto mondiale, e sappiamo come finì.
Andrea Arcangeli è un credibile Roberto Baggio. Valentina Bellè interpreta la moglie Andreina, che lo aiuta a superare i momenti difficili dopo gli infortuni. Antonio Zavatteri è un Arrigo Sacchi antipatico almeno quanto l’originale. Ma su tutti spicca Andrea Pennacchi nei panni di Florindo, il burbero padre che insegna al futuro campione a non dare nulla per scontato.
gbg