Non bellissimo, ma interessante e da vedere, “Il collezionista di carte” di Paul Schrader dimostra ancora una volta la poliedricità del suo autore, capace di toccare registri molti diversi. Da “American Gigolò” a “Il bacio della pantera”, da “Hardcore” a “Cane mangia cane”, senza dimenticare la sceneggiatura di “Taxi Driver” di Martin Scorsese con De Niro e la giovanissima Jodie Foster, Schrader prosegue con questo film la sua personale indagine sui vizi di un grande paese incapace di uscire dalle sue contraddizioni.
La storia è semplice. Dopo otto anni e mezzo di prigione per le violenze esercitate sui prigionieri del carcere di Abu Ghraib, William Tell mette a frutto la straordinaria abilità di ricordare le carte acquisita in carcere, e si guadagna da vivere con il poker e il black jack. Passa da un casinò all’altro giocando con moderazione per non dare troppo nell’occhio, ma è tormentato dai fantasmi del passato, e il suo equilibrio si spezza quando incontra il figlio di un commilitone morto suicida. Per aiutarlo ha bisogno di soldi, e accetta l’invito di una donna conosciuta per caso, che gli consente di entrare nel giro dei professionisti del gioco. Il denaro, però, non è tutto.
Schrader si avvale di un cast di prim’ordine. La nuova stella Oscar Isaac è un efficace William Tell, Tiffany Haddish è la donna che lo accetta nella sua scuderia di campioni, Tye Sheridan il giovane sbandato. William Dafoe interpreta il vecchio e non pentito comandante di Abu Ghraib, vivente incarnazione di una colpa che non è possibile cancellare.
A differenza di altre opere di Schrader, “Il collezionista di carte” non è un film di azione, e la tensione è tutta interna alla psicologia dei personaggi, spesso impegnati in lunghe partite minuziosamente ricostruite. Ma gli inquietanti ambienti delle sale da gioco aiutano lo spettatore a ricordare che sotto la superficie si agitano problemi di ben diversa natura.
gbg