“Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?” è la prima frase del fumetto più longevo d’Europa, Tex Willer. Fuorilegge, poi ranger e ancora capo dei Nativi Navajos con il nome di Aquila della Notte, Tex festeggia settant’anni – anzi, settantuno ad essere rigorosi – dalla sua creazione ad opera del vulcanico sceneggiatore Giovanni Luigi Bonelli che ne affidò la realizzazione grafica a Aurelio Galleppini.
Bonelli ne voleva fare uno dei tanti cowboy fuorilegge che popolavano le edicole nel dopoguerra: siamo infatti nel 1948, gli albi escono nel formato “a striscia” per il miglior utilizzo della poca carta che c’è a disposizione. Ma ben presto Tex prende la mano ai suoi autori con un successo crescente che diventa dirompente con la scomparsa dei suoi principali concorrenti – “Capitan Miki” e “Il Grande Blek” realizzati dal team torinese EsseGesse e pubblicati dalla Dardo – e anche grazie al formato “gigante” o “bonelliano” come viene detto, cioè un formato a quaderno che all’inizio raccoglie in ogni pagina tre strisce e che poi diverrà modello per tutti i fumetti.
Tex è in cima all’hit parade dagli anni Sessanta, appena minacciato dal “cugino” Dylan Dog negli anni Ottanta (scritto da Tiziano Sclavi e pubblicato sempre da Bonelli). Diventa un fumetto di culto molto letto, e del quale si scrive molto.
Alla guida della casa editrice intanto è subentrato alle madre Tea Sergio Bonelli, che realizzerà la più grande bottega italiana della fantasia con le sue intuizioni, il suo essere un signore innamorato del fumetto di cui difende la dignità di racconto definendolo “il cinema dei poveri”. Mancano il movimento e il sonoro, è vero, ma ogni lettore può farsi la propria regia, immaginare panorami, effetti, dialoghi….
Con Tex ci sono gli inseparabili pards: Kit Carson (unico personaggio ripreso dalla storia da Giovanni Luigi Bonelli anche se piegato a proprio uso e consumo) il figlio di Tex, Kit, e il Navajo Tiger Jack, un nome che i vecchi appassionati si ostinano a pronunciare esattamente come è scritto. Mangiano enormi bistecche con montagne di patatine fritte e abbondanti torte di mele (il menù preferito da G.L. Bonelli), bevono litri di caffè e birra ma soprattutto si battono contro le ingiustizie secondo la legge del “dente per dente”: terribili cazzotti e mortali colt.
Sergio Bonelli – creatore a sua volta di Zagor, Mister No, Nick Raider – firmerà varie storie di Tex (splendida la saga de “El Muerto”) con lo pseudonimo G. Nolitta per non approfittare del nome del padre. Entrambi, purtroppo, ci hanno lasciato così come Galleppini.
Ora la casa editrice, che a giorni manderà in edicola il numero 700 della saga, è retta dal figlio di Sergio, Davide, con alcuni manager che hanno sostituito i vecchi artigiani del mestiere.Vengono ripubblicate storie già edite in nuovi formati, varate nuove serie, e questa declinazione di Tex in più collane un po’ sconcerta gli aficionados del ranger mentre i nuovi albi non convincono.
Ad esempio l’ultima avventura pubblicata (in ben quattro numeri: 696-699) non è certamente all’altezza della scrittura piena e vigorosa del nonno (a questo punto) Bonelli, che costruiva saghe con uomini orribili, un pizzico di mistero, e soprattutto con ben altra inventiva che non la piccola storia scritta da Mauro Boselli, trascinata in lungo e in largo. Ora vedremo il numero 700 per il quale ci sono molte aspettative: la speranza che Tex e pards ci sappiano regalare un’avventura vera, un racconto pieno.
Per Sergio Bonelli la soddisfazione era quando, nei numerosi incontri con i lettori che ora non si fanno più, gli si diceva che leggendo Tex si era passata un’ora nel mondo della fantasia, un’ora piacevole. “Bene, abbiamo colpito giusto”, sorrideva Sergio.
Margherita Griglio