Globale, ma melenso

“Frozen II, il segreto di Arendelle”, sta riempiendo le sale, e sembra avviato a replicare il successo planetario della prima parte della saga delle sorelle Elsa e Anna, ambientata tra i fiordi e le foreste del Grande Nord. 

Come in ogni sequel che si rispetti, “Frozen II” oscilla tra i flashback che riprendono  alcuni degli aspetti lasciati in sospeso nel primo film e lo sviluppo di una nuova e complicata trama, basata sul viaggio delle due sorelle alla ricerca della verità sui loro genitori e sul regno di Arendelle. Ad accompagnarle ci sono ancora il pupazzo di neve Olaf, il buon Kristoff e la renna Sven, mentre lungo il percorso incontrano la tribù dei Northuldri e un gruppo di soldati, che si combattono da anni in una foresta avvolta da una nebbia impenetrabile. Alla fine, grazie ai magici poteri di Elsa e al coraggio di Anna, la nebbia si dissolve, torna la pace e, come è d’obbligo nelle fiabe, tutti vivono felici e contenti.

“Frozen II, il segreto di Arendelle” è il cinquantottesimo film di animazione prodotto dalla Disney, che investe milioni di dollari non soltanto nella produzione, ormai interamente basata sulla computer grafica, ma anche nelle altrettanto redditizie attività collaterali: libri, musica, oggettistica basata sul marchio. Basti pensare che le canzoni della colonna sonora sono state incise e commercializzate in ventinove lingue diverse. 

La Disney produce i suoi film per un mercato globalizzato, per piacere a tutti  in tutto il mondo. Questo rischia di andare a scapito della originalità delle trame e dei personaggi. Gli stereotipi abbondano, i buoni rischiano la melensaggine, e nessuno dei cattivi è neppure lontanamente paragonabile alla splendida e terrificante Crudelia Demon de “la carica dei 101”. 

Ma forse queste sono soltanto le considerazioni di un nonno nostalgico, che a Natale si è rassegnato a regalare alla nipotina i mattoncini per costruire il castello di Arendelle.

gbg

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