Gianni Amelio non è Bergman ma non lo sa, e i lentissimi movimenti di camera che indagano i volti e i pensosi silenzi dei suoi personaggi mi hanno sempre lasciato un po’ perplesso. In “Hammamet”, che racconta gli ultimi giorni di Bettino Craxi latitante in Tunisia dopo due condanne passate in giudicato per corruzione e quattro processi ancora in corso per altri reati, ne fa un ampio e forse eccessivo uso. Il film ne risente, così come risente della artificiosa invenzione del giovane figlio di un militante socialista duro e puro che si introduce nella villa tunisina per vendicarsi, ma subisce il fascino dell’ex presidente e instaura con lui un ambiguo legame.
Detto questo, però, “Hammamet” merita di essere visto anche soltanto per la strepitosa interpretazione di Pierfrancesco Favino, un Craxi tragico e potente, imitato alla perfezione nella voce e reso indistinguibile nel volto e nel comportamento da ore di trucco e da un accurato studio della gestualità.
Comunque la si voglia giudicare, la figura di Bettino Craxi resta centrale nella storia italiana. Leader indiscusso del PSI, presidente del consiglio tra il 1983 e il 1987 in governi di coalizione con la Democrazia Cristiana, Craxi aveva tentato di scalfire l’egemonia comunista sulla sinistra e di avviare un processo di modernizzazione del paese che si infranse anche per le debolezze del suo partito. Furono anni di euforia, ma anche di debito pubblico fuori controllo, tangenti e corruzione. E nel 1992 arrivarono le indagini di Mani Pulite, gli arresti, i processi, e le condanne.
Le vicende di Tangentopoli sono troppo note per essere ricordate qui, e anche in “Hammamet” sono raccontate soltanto in forma mediata, attraverso le furie e le amarezze di un leader abbandonato dagli amici e indebolito dalla malattia che lo porterà alla morte nel gennaio del 2000, ma deciso a combattere fino all’ultimo per la sua verità. E’ un film sul destino di un uomo, non un trattato di storia.
gbg