Miglior film, miglior regista, migliore attrice protagonista. “Nomadland”, della cinese Chloé Zhao, interpretato da Frances McDormand, ha trionfato nella notte degli Oscar, ma ne parlo soltanto adesso perché ho seguito il consiglio della regista, che nel corso della cerimonia aveva invitato gli spettatori a vederlo sul grande schermo. Così ho atteso la sospirata riapertura delle sale, e non me ne sono pentito.
Nel buio della platea, nonostante il disagio per le mascherine indossate per tutta la durata della proiezione, la storia di Fern, vedova di mezza età che sceglie di vivere nomade su un piccolo camper, è di quelle che lasciano il segno e incatenano alla poltrona.
Fern insegue lavori saltuari spostandosi tra Arizona, Nebraska, Nevada, California e South Dakota. Soffre il caldo e il freddo, si adatta a umili incombenze, e incontra altri che si trovano nelle stesse condizioni, a volte per scelta, a volte per necessità. Non ci sono episodi drammatici e colpi di scena, ma soltanto momenti di vita raccontati con taglio documentaristico: il personaggio di Fern, inventato, interagisce con persone reali, le stesse descritte in un libro inchiesta dalla giornalista Jessica Bruder, che per qualche mese visse da nomade su un furgoncino.
Chloé Zhao ha seguito l’esempio della Bruder. Con una troupe ridotta al minimo si è spostata da un campo all’altro, senza seguire una sceneggiatura e cercando di evitare che i nomadi perdessero la loro spontaneità nel dialogo con Frances McDormand, che a sua volta, con grande umiltà e intelligenza, ha messo il suo talento al loro servizio.
Il risultato è stato un film al tempo stesso disperato e dolce, un film di denuncia, ma anche un invito a riflettere sulla possibilità di vivere in un modo diverso, senza l’ossessione del denaro e del successo.
Da non perdere, possibilmente in sala. Ma per chi teme i contagi “Nomadland” è anche disponibile su Disney+.
gbg