Elena e Anita

Abituati come siamo al cattivo giornalismo, se ci capita di leggere una inchiesta ben fatta non soltanto non la riconosciamo come tale, ma riusciamo anche a criticarla per l’impertinenza, la mancanza di tatto o addirittura per qualche inesistente violazione deontologica. E poco ci manca che si invochi l’intervento della  magistratura.

Nel caso specifico, vittima degli attacchi è Claudio Gatti, un inviato del Sole 24 ore, che si è occupato tra le altre cose dello scandalo Oil for Food, dei ruolo dei derivati nella crisi finanziaria mondiale, dei legami tra la banca d’affari JP Morgan Chase e il truffatore Bernard Madoff, delle malversazioni dell’ex presidente di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini. Il suo peccato è di essere rimasto affascinato dal caso “Elena Ferrante”, la misteriosa autrice di best-sellers che hanno fatto la fortuna della casa editrice E/O, sono stati tradotti in molti paesi, e hanno avuto la consacrazione di una trasposizione cinematografica. Di lei non sono mai state pubblicate foto, e l’unico dettaglio biografico che compare sulla quarta di copertina dei suoi libri è che nata a Napoli. In compenso esistono molte interviste concesse per interposta casa editrice, e una falsa autobiografia pubblicata sotto il titolo “Frantumaglia”.

Gatti ha raccolto il guanto di sfida che secondo lui è stato  lanciato a critici e giornalisti con la Frantumaglia, là dove l’autrice spiega di non odiare affatto affatto le bugie, perché “nella vita le trova salutari e vi ricorre quando capita per schermare la sua persona”. E ha pubblicato una dettagliatissima inchiesta, che trovate in parte qui , da cui risulta che Elena Ferrante è Anita Raja, traduttrice del tedesco, collaboratrice della casa editrice E/O, e moglie di un altro autore piuttosto noto, Domenico Starnone.

Non si tratta di una novità assoluta perché il nome di Anita Raja era già stato inserito tra quelli possibili,  a volte da solo, a volte insieme a quello del marito. Ma il merito di Gatti è di aver dato sostanza al pettegolezzo con una delle tecniche più consolidate del giornalismo d’inchiesta, e cioè seguendo il denaro.  Follow the money dicono gli anglosassoni, e Gatti, che non a caso vive da molti anni negli Stati Uniti, lo ha fatto  con una puntigliosa analisi dei bilanci della casa editrice, delle entrate della signora e delle sue spese, da sola e insieme al coniuge. Molti voci, soprattutto sui social, si sono levate per denunciare presunte violazioni della privacy. Che non esistono perché i dati catastali sono pubblici. Così come non si può parlare di mancanza di tatto se Gatti ha messo a confronti i falsi dati autobiografici di Frantumaglia con quelli veri di Anita Raja, e indagando  nella sua storia di famiglia ha ipotizzato che il personaggio di Elena potrebbe essere stato sarebbe stato ispirato da una zia molto amata, mentre quello di Nino farebbe direttamente riferimento a Domenico Starnone,  così chiamato in famiglia.

Leggendo l’inchiesta appare chiaro che qualcuno, ben al corrente della vicenda, ha parlato con Gatti. Una fonte anonima che non è piaciuta ai suoi censori, ma non è scorretta. Senza Gola Profonda non ci sarebbe stato il Watergate, e Nixon avrebbe felicemente concluso il suo secondo mandato presidenziale.

Infine, Gatti viene accusato di avere sparato contro il bersaglio sbagliato. Perché accanirsi contro una persona che ha tutto il diritto di mantenere l’anonimato, se davvero lo desidera, o peggio ancora, ne sente la necessità?

Ora, a parte il fatto che molti critici avevano fin dall’inizio considerato  il mistero sulla identità di Elena Ferrante soltanto una  efficace tecnica di marketing, bisogna considerare che proprio il successo commerciale dei suoi libri ha cambiato le carte in tavola.

Piaccia o no, Elena Ferrante – o meglio chi si nasconde dietro lo pseudonimo – è un personaggio pubblico su cui un giornalista ha tutto il diritto di indagare e di scrivere.  E anche in questo caso arriva dagli Stati Uniti un esempio illuminante che riguarda un autore ben più noto della Ferrante: Stephen King. Tra il 1977 e il 1984 il maestro dell’horror pubblicò cinque romanzi in edizioni tascabili con lo pseudonimo Richard Bachman. Uno in particolare, “la lunga marcia”, era davvero bello. Così bello da insospettire il commesso di una libreria, che decise di indagare scoprendo un documento della biblioteca del congresso  dove uno dei romanzi risultava associato al nome di  King. Il commesso si mise in contatto con gli editori e in seguito con lo stesso King, che ammise tutto e gli consigliò di scrivere un articolo sulla vicenda, concedendogli anche una intervista.

Attendiamo di leggere l’intervista che Anita Raja concederà a Gatti.

Battista Gardoncini

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