Tarik Saleh è un regista svedese figlio di padre egiziano, e chi vuol capire qualcosa di più dell’Egitto contemporaneo non può prescindere dai suoi film. Quello che gli ha dato fama internazionale – e gli ha procurato l’ostracismo del paese di provenienza – era “Omicidio al Cairo”, una storia gialla che partiva dalla morte di una famosa cantante e arrivava a descrivere la drammatica realtà di una nazione corrotta alla vigilia di una rivoluzione finita malissimo. Per il pubblico italiano quel film, uscito a pochi mesi di distanza dalla brutale uccisione di Giulio Regeni ad opera dei servizi segreti egiziani, era un pugno nello stomaco che andava oltre i suoi indubbi meriti.
Ora è arrivato nelle nostre sale “La cospirazione del Cairo”, uscito nel 2022 e premiato a Cannes per la migliore sceneggiatura. Anche in questo caso si parte da un omicidio, quello di un allievo di al-Azhar, il più prestigio centro religioso sunnita del mondo arabo, nonché l’università dove studiano i futuri imam. Un altro allievo, Adam, figlio di un povero pescatore, viene coinvolto suo malgrado nelle indagini da un colonnello dei servizi segreti, e scopre che l’omicidio è maturato nei giochi di potere per la scelta del nuovo rettore. Un carica a vita, ambitissima, alla quale il governo egiziano vorrebbe fosse eletto un religioso amico.
L’intreccio, solido e pieno di tensione, è tuttavia la parte meno interessante del film. Ciò che colpisce, oltre alla accurata descrizione della vita dentro al-Azhar, dove si confrontano i moderati vicini al governo e gli estremisti legati ai fratelli musulmani, è lo spregiudicato comportamento dei servizi segreti, che operano al di fuori di ogni controllo.
Bella la fotografia, ben scelte le musiche, ottimi gli attori dove spiccano il giovane palestinese Tawfeek Barhom nei panni del tormentato Adam e lo svedese Fares Fares, che interpreta un colonnello con qualche barlume di umanità. Da vedere.
gbg