Piace alle signore, è politicamente impegnato, e come attore se la cava. Ma come regista lascia un po’ a desiderare. Dopo il buon “Good Night and Good Luck”, dove raccontava la battaglia del celebre conduttore televisivo Edward Murrow contro il maccartismo, George Clooney non ha saputo ripetersi, e anche il suo ultimo e molto pubblicizzato film, “The Midnight Sky”, prodotto da Netflix, lascia francamente perplessi.
Sulla Terra sconvolta da una non meglio precisata catastrofe restano in vita, isolati in una base artica, un uomo anziano e malato e una enigmatica bambina. L’uomo usa le sue ultime forze per mettersi in contatto con l’equipaggio di una nave spaziale che sta tornando sulla Terra dopo aver esplorato una luna di Giove. A sua volta l’equipaggio è angosciato perché non riceve più indicazioni per il rientro dal controllo missione, e a bordo ci sono problemi. Le due vicende corrono parallele per quasi due ore di film senza mai davvero integrarsi, inframmezzate da alcuni flashback che nelle intenzioni dovrebbero spiegare tutto, ma appesantiscono inutilmente il discorso.
Il messaggio è fin troppo chiaro. L’uomo non ha saputo proteggere il pianeta, che si sta vendicando. Il futuro dell’umanità, se mai ce ne sarà uno, è altrove. Per raccontare questa banalità Clooney non ha badato a spese. Nella sua parte “artica” il film è stato girato negli ostili e gelidi paesaggi finlandesi, in quella “astronautica” fa un largo uso degli effetti speciali del genere: ci sono la solita gigantesca nave suddivisa in compartimenti stagni e irta di parabole, i computer onniscenti, le fluttuazioni dell’ equipaggio alle prese con l’assenza di gravità e con i pericoli delle passeggiate spaziali. Il tutto si fa guardare, ma non appassiona, e l’impressione del già visto è sempre in agguato.
Clooney è anche il protagonista. Per interpretare il suo personaggio ha perso dodici chili troppo in fretta, ed è finito in ospedale. Forse non ne valeva la pena.
gbg