Il 17 febbraio del 1964 papà mi dice: “Andiamo a comprarti il regalo”. E’ il mio compleanno, 12 anni. In piazza Statuto c’è il negozio di Emmo Ghelfi. Avrei potuto stare ore a guardare le sue vetrine e quelle meravigliose e irraggiungibili biciclette. Il marchio olimpico sul telaio, il nome Frejus disegnato sul manubrio. La bici che fu anche di Bartali. Compriamo il modello Sport, quella con il manubrio orizzontale corto. Avrei preferito da corsa, ma va bene anche questo. Per anni luciderò ogni giorno la mia Frejus, come mamma le sue pentole di rame.
Nel tempo arrivano altre bici. Da corsa (finalmente), da città, da montagna, da passeggio, da mare. Lei, la mia amatissima Frejus corre più in cantine polverose che nell’aria e nel vento. Alcune le rottamo o le regalo. Altre finiscono chissà dove. La Frejus mai. Un giorno scendo in cantina, la sradico da un ammasso di altri vecchiumi e la porto fuori. In strada. Ha perso colore, ha accumulato ruggine, le gomme non si gonfiano più, il campanello è stonato, le luci non si accendono, le molle della sella sono rigide come bastoni, la gomma dei freni lisa e così sottile che le pinze non prendono più sul cerchione. E’ un ferrovecchio. Ma io amo la mia Frejus.
Nel mio quartiere, il Campidoglio, ha aperto da un paio d’anni la “Ciclofficina Letteraria”. Il restauratore, meccanico, maestro di pedale e di telaio si chiama Stefano Bruccoleri. Ciclista e scrittore e poeta, per anni senza fissa dimora, ha girato il mondo sui pedali, ha annotato in versi e in prosa una vita sulla strada. Poi è arrivato qui e ha aperto una bottega di riparazioni e libri e pensatori notturni.
Bruccoleri è uno di quei tipi che se non lo vedi non riesci a capire com’è. Nasce in Belgio nel 1968 e ancora giovanissimo perde i genitori, il fratello e la casa. Finisce per strada, uno sbandato, dorme nei parchi, sulle panchine, sotto le stelle e i diluvi d’acqua, vive di carità, di mense, di dormitori. Bruccoleri però, con la calura dell’estate o nel gelo dell’inverno torinese, ha nella mente un pensiero fisso. La bici. Lui adora pedalare, sogna di giorno e di notte di salire un giorno in sella. Alla fine riesce a comprane una, malandata e scassata. Scopre di avere una capacità manuale nel riparare catene, pedali, telai, gomme, cerchioni e cambi che non credeva di avere. Rimette a lucido la bici e un giorno sale in sella. Bruccoleri il senza casa, di salute incerta e solo, punta la bici verso la Francia e comincia a pedalare. Lo farà per cinque anni consecutivi, per un totale di 25 mila chilometri. Una sosta ogni tanto. E’ ancora un senza dimora ma quello che vede e l’aria che sente mentre pedala gli danno il senso della libertà, del fascino del viaggio, di essere come altri ciclisti che incontra per strada, nelle lunghe pianure o sui tornanti di montagna. Lui stesso dice: “Pedalavo a tratti felicemente e a tratti da idiota”.
Un giorno decide di tornare. Apre un blog e scrive un libro: “Via della Casa Comunale n° 1” (Ediciclo Editore, Portogruaro). La prefazione è di don Ciotti: “Spero che chi leggerà queste pagine così sincere, e forse per questo a volte un po’ intemperanti, avrà voglia di raggiungerlo, Stefano. Di mettersi a sua volta su quella strada che troppo spesso viviamo come spazio della paura e dell’insicurezza anziché della relazione. La strada del cambiamento ha bisogno di persone che non selezionano i compagni di viaggio. Ha bisogno della carezza di tante ruote che filano via insieme in direzione della speranza”.
Quando vede la mia Frejus dice: “E’ una meraviglia, mai vista una bici così. Dammi cinque giorni e ti restituisco un gioiello”. E così anch’io entro nella sua bottega.
Oggi l’officina, unta e e profumata d’olio da ingrasso, è un punto di ritrovo di scrittori, poeti, ciclisti, gente di quartiere. Ogni tanto Bruccoleri organizza un reading di poesie e narrativa con musica, come quelli americani degli anni Sessanta della Beat Generation. Ognuno porta vino, pane, salame e progetti, sogni, speranze. Il prossimo è sabato 5 novembre alle 18, aperto a tutti.
Giorgio Levi