Non conoscevo Michael Harvey. E ho guardato con un po’ sospetto a “Brighton”, il volume pubblicato da Nutrimenti che l’ amico libraio Fedrico Bena mi ha messo in mano, tanto sicuro che mi sarebbe piaciuto da garantirmi un irrituale diritto di resa.
E aveva ragione, perché “Brighton” non è soltanto un giallo ben congegnato e ben scritto – cosa che in quest’epoca di spazzatura editoriale sarebbe comunque un buon motivo per leggerlo – ma ha anche altri due punti di forza: l’approfondimento psicologico dei suoi contradditori personaggi, che incontriamo nel 1975 e ritroviamo venti anni dopo, e la descrizione accurata della vita nell’omonimo sobborgo di Boston che fa da sfondo alla vicenda.
Un quartiere misto, violento, povero e tuttavia capace di offrire ai suoi abitanti il senso della comunità e inaspettati momenti di serenità. Harvey sa di che cosa parla, perché a Brighton è cresciuto, ed è difficile non vedere le similitudini tra la sua storia personale di giornalista e documentarista e quella del protagonista Kevin Pearce, che abbandona giovanissimo il quartiere dopo essere stato coinvolto in un fatto di sangue e vi ritorna fresco vincitore di un premio Pulitzer per una nuova inchiesta che lo riporta bruscamente al passato.
Attorno a Pearce ruotano altri personaggi, vincitori e vinti nella quotidiana battaglia per la sopravvivenza, dall’amico di sempre Bobby Scales alle sorelle Bridget e Colleen, dagli alcolisti agli spacciatori, dalla fidanzata procuratrice senza scrupoli ai preti e alle suore un tempo potenti e ora alle prese con lo scandalo della pedofilia, rivelato proprio dal giornale per cui Pearce lavora.
Della trama, complessa ma credibile, non dirò nulla, e tutto sommato è secondaria. Per un giallo questo potrebbe apparire un grave difetto. Ma non lo è, perché le trecentocinquanta pagine del libro scorrono in fretta, e garantiscono al lettore molte ore piacevoli.
Battista Gardoncini