Quando nel 1939 Billie Holiday cantò per la prima volta “Strange Fruit“, che piangeva i neri del Sud linciati e appesi agli alberi come “strani frutti”, la rivista Time disse che si trattava di “propaganda in musica”, e per molti anni le radio e le televisioni rifiutarono di trasmetterla. Sessanta anni dopo fece ammenda e riconobbe che la voce straordinaria della Signora del blues aveva fatto del testo e della musica scritti dall’attivista Abel Meeropol uno strumento potentissimo nella lotta per l’emancipazione e i diritti civili dei neri americani. E che per questo a buon diritto poteva essere considerata la canzone del secolo.
Nel film “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” il regista Lee Daniels racconta in modo un po’ didascalico la carriera e la vita difficile della cantante, segnata dagli abusi subiti in tenera età, dalle discriminazioni razziali, dalla droga e da relazioni sbagliate con uomini che la sfruttavano. Convince di più quando ricostruisce le pressioni dell’America puritana e bigotta per costringerla a escludere “Strange Fruit” dal suo repertorio, e le persecuzioni orchestrate dal bieco agente federale Harry Ansliger per piegarla, culminate nell’arresto e in un anno di carcere per detenzione di stupefacenti. Tornata in libertà la cantante riprese a esibirsi, ma era malata di cirrosi e morì a soli 44 anni.
Daniels è un regista di media levatura, e il film ne risente. Tuttavia vale la pena di vederlo per l’ultima fulminante battuta di Billie morente al bieco Ansliger e per la magnifica interpretazione della cantante Andra Day: non è soltanto fisicamente simile al suo personaggio, ma riesce a immedesimarsi completamente in lei anche quando canta. La sua esecuzione dei capolavori di Billie lascia a bocca aperta, anzi a orecchie spalancate. E questo vale anche per “Strange Fruit”, che nel corso degli anni molte grandi voci hanno tentato di interpretare, senza mai raggiungere il fascino dell’originale.