In questi giorni difficili è arrivato nelle sale italiane, un pò in sordina, un film che è anche un segno di speranza: perfino nel corso di una spietata guerra civile c’è spazio per la gentilezza e per chi non vuole perdere la sua umanità. “Belfast”, dell’attore e regista irlandese Kenneth Branagh, racconta la vita di un famiglia operaia nella Belfast del 1969, durante gli scontri tra protestanti e cattolici, ed è dichiaratamente autobiografico. Il padre è quasi sempre lontano per lavoro, ma disapprova la violenza e vorrebbe portare tutti in Inghilterra. La madre si arrabatta tra i conti non pagati e cerca di tenere i due figli lontano dai guai. Il più piccolo, nove anni e un ciuffo biondo ribelle, è proprio lui, Branagh, alle prese con la scuola, il primo amore per una compagna di classe, e una cugina più grande che tenta di coinvolgerlo nelle proteste. I due nonni fanno quello che possono per aiutare la famiglia a tirare avanti, ed è grazie al nonno, ironico e curioso del mondo, che Branagh incontra Shakespeare. Molti anni dopo, in Inghilterra, diventerà il più importante interprete delle sue tragedie. Ma questa è un’altra storia.
“Belfast” è un film tenero e duro allo stesso tempo, aiutato dallo splendido bianco e nero delle riprese. Vista con gli occhi della povera gente la violenza appare per quello che è: la scelta insensata di pochi, imposta ai molti che vorrebbero soltanto vivere in pace. Branagh riesce a dire questa verità in modo semplice, senza scadere nel didascalico, e le sue sette nomination per gli Oscar sono sicuramente meritate.
Complici i ritardi per il Covid,”Belfast” è arrivato nelle sale insieme a un altro film di Branagh: “Assassinio sul Nilo”, seconda puntata di una serie che il regista – qui anche attore nei panni del celebre ispettore Poirot – intende dedicare ai romanzi di Agatha Christie. La trama è nota, il cast è stellare, la fotografia curatissima. Ma se dovete sceglierne uno, scegliete “Belfast”.
gbg