Anatomia di una caduta

Un uomo cade da un balcone e muore. Lo trova il figlio cieco, uscito per una passeggiata con il cane guida, e le sue urla richiamano l’attenzione della madre, che non si era accorta di nulla.

Incomincia così “Anatomia di una caduta”, della regista francese Justine Triet, che ha messo d’accordo tutti: i giurati del festival di Cannes, dove ha vinto la Palma d’Oro, e il pubblico, che per una volta si è dimostrato d’accordo con le scelte degli addetti ai lavori. Primo al botteghino in Francia, il film sta riempendo  le sale anche in Italia, nonostante una promozione e una distribuzione non particolarmente efficaci. 

Che cosa è davvero accaduto? La dinamica della caduta dell’uomo non convince gli inquirenti, che fin dall’inizio sospettano della madre, e la accusano di omicidio. Ma ci sono anche elementi che fanno pensare a un incidente o al suicidio. Alla fine si arriva un processo dove la donna è difesa da un avvocato amico di infanzia, l’accusa è sostenuta da un odioso pubblico ministero, e il figlio, chiamato a testimoniare, viene costretto a una scelta difficile. 

La verità giudiziaria lascia però nel dubbio. È davvero quella la verità? Ed è possibile trovare una sola verità in una vicenda dove entrano in gioco i sentimenti, le debolezze e le angosce delle persone, e i fatti sono tutto sommato marginali?

Justine Triet, aiutata da una eccellente sceneggiatura scritta a quattro mani con il compagno Arthur Harari, ha costruito un impeccabile meccanismo di giallo giudiziario, che tiene gli spettatori con il fiato sospeso per tutte le due ore e mezza del film. Ma la sua è una riflessione che tocca corde più generali: la crisi di una coppia che esplode per il rovesciamento dei ruoli tradizionali, i limiti della giustizia, la tutela dei minori. 

Ottimi gli attori, con una citazione particolare per la tedesca Sandra Hüller nella parte della madre e per il giovanissimo Milo Machado Graner.

gbg

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