“Alice e il sindaco”, del regista francese Nicolas Pariser, è la dimostrazione che per fare un buon film i budget faraonici, gli effetti speciali e le sceneggiature improbabili non sono tutto: bastano due ottimi attori e una regia intelligente al servizio di una storia semplice, ma capace di appassionare e di fare riflettere.
“Alice e il sindaco” racconta dell’incontro tra una giovane filosofa, interpretata dalla deliziosa Anaïs Demoustier, e il sindaco progressista di Lione, un monumentale Fabrice Luchini, che ha perso l’entusiasmo della gioventù, dice di non avere più idee, e pensa che la freschezza di lei possa dargli nuovi stimoli. Tra i due nasce una relazione intellettuale sempre più stretta, che non manca di suscitare le gelosie dello staff del sindaco, possibile candidato socialista per la corsa all’Eliseo. E sarà con l’aiuto della giovane che il sindaco preparerà il discorso più importante della sua carriera politica.
Al centro della storia ci sono i meccanismi distorti della pubblica amministrazione, dove anche le migliori intenzioni si scontrano con l’oscuro linguaggio della burocrazia, il tempo passa tra appuntamenti e riunioni dove si parla molto e si conclude poco, i progetti faraonici sono destinati a restare sulla carta. Nicolas Pariser ha raggiunto una certa notorietà nel 2015 con il thriller fantapolitico “Le Grand Jeu”, ma a giudicare dal realismo delle sue descrizioni in qualche momento della vita deve avere avuto uno stretto contatto con il mondo della vera politica. Un mondo – dice una delusa Alice – dove pochi trovano il tempo di leggere un libro e di fermarsi a pensare.
E tuttavia “Alice e il sindaco” non è una banale denuncia dei mali della politica. E’ anche un film ottimista, dove le riflessioni di Rousseau e di Melville e l’esemplare passione civile del grande storico francese Marc Bloch, che fece parte della Resistenza e fu torturato e ucciso nel 1944 dai tedeschi, alimentano la speranza dei due protagonisti. E la nostra.
gbg