A volte ritornano. Uscito l’anno scorso, “Everything, Everywhere, All at Once”, dei visionari registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert, ha già incassato oltre cento milioni di dollari nel mondo. Ma evidentemente i distributori pensano che non abbia esaurito il suo potenziale, e lo hanno riportato nelle sale dopo la raffica di premi internazionali ottenuti e le 11 candidature agli Oscar. Anche Rotten Tomatoes, l’aggregatore di recensioni temutissimo dagli addetti ai lavori, ha raccolto un lusinghiero 95% di giudizi professionali positivi, con un voto medio di 8,6 su 10.
A suo tempo avevo scartato “Everything, Everywhere, All at Once” perché non particolarmente interessato ai “multiversi”, le realtà parallele che misteriosamente entrano in contatto e trasformano i protagonisti, di solito persone tranquille nel loro mondo di riferimento, in supereroi o supercattivi. Devo però ammettere che questo filone, antico quasi quanto il cinema, è stato rivitalizzato dalle nuove tecnologie digitali, e ha tutte le carte in regola per piacere soprattutto al pubblico giovane, cresciuto a pane e videogiochi.
I due registi hanno fatto un uso larghissimo degli effetti speciali, ma probabilmente non sarebbero stari in grado di tenere vivo l’interesse per le due ore e venti minuti del film se non avessero avuto l’idea di stravolgere il genere, trasformandolo in una graffiante parodia, piena di dotte citazioni cinefile. Chi proprio non riesce ad appassionarsi a un contrasto famigliare che si trasforma in una lotta all’ultimo sangue per la salvezza del multiverso può comunque distrarsi cercando di individuare le loro fonti di ispirazione.
Una citazione a parte meritano gli attori. Di Jamie Lee Curtis sappiamo già tutto. L’attrice malese Michelle Yeoh è bravissima nella parte della proprietaria di una lavanderia oppressa dalle tasse che si scopre predestinata. Jonathan Keh Quan, l’ex attore bambino di Indiana Jones, è il suo multiforme marito e la asseconda alla perfezione.
gbg