A Martigny, a pochi chilometri dal confine italo-svizzero per chi passa dal Gran San Bernardo, si può visitare fino al 19 novembre una delle mostre più interessanti dell’estate: Paul Cézanne, il canto della Terra.
Un appuntamento da non perdere, perché la fondazione Pierre Gianadda è riuscita a raccogliere dai musei di tutto il mondo una grande quantità di opere che raramente vengono concesse in prestito: una cinquantina di paesaggi, dodici nature morte, quindici ritratti di amici e autoritratti, e una decina di composizioni legate al tema dei bagnanti, senza contare i disegni, gli appunti, le lettere. Un risultato straordinario per una istituzione che non dispone di opere proprie da dare in cambio, e tuttavia non eccezionale per la Gianadda, che dall’anno della sua fondazione, il 1978, ha portato a Martigny più di dieci milioni di visitatori, attratti dai nomi di Van Gogh, Picasso, Degas, Chagall, Monet, Modigliani, e di tanti altri protagonisti della pittura e della scultura mondiali.
Tutto il merito va al nipote di un immigrato piemontese, Léonard Gianadda, un eclettico ingegnere e magnate dell’edilizia svizzera, che seppe fermare le ruspe quando, scavando per le fondamenta di un grattacielo, riportarono alla luce i resti di un tempio gallo romano, e istituì una fondazione per ricordare un fratello morto. Oggi a Martigny si possono ammirare, oltre ai capolavori delle esposizioni temporanee, il tempio restaurato, un museo archeologico, una ricca collezione d’auto d’epoca, i ritratti fotografici di Cartier Bresson ai suoi amici intellettuali. E per chi ama la musica ci sono i concerti di musicisti prestigiosi, da Pollini a Isabelle Faust.
Visitare la Gianadda almeno una volta all’anno è uno dei piaceri dell’esistenza, appena turbato dalla pessima qualità del buffet del parco, dove i cartelli invitano a calpestare l’erba per meglio osservare le sculture esposte in plein air, che non sfigurano con le opere esposte all’interno. Bastano i nomi di Rodin, Moore, Brancusi, Chagalla, Chillidà, Penalba e Dubuffet per rendere l’idea?
Tanta abbondanza è possibile soltanto a condizione di avere a disposizione fondi illimitati, ma i fondi, da soli, non bastano. Serve intelligenza, gusto per i bello, voglia di conoscere il mondo, e anche, in una certa misura di cambiarlo. A giudicare dalle note biografiche – esposte in un padiglione separato insieme ad alcune belle foto in bianco e nero scattate in gioventù – Gianadda non è privo di questi requisiti, che lo rendono simpatico nonostante l’evidente egocentrismo.
Sicuramente meglio lui di un altro magnate svizzero Emil Georg Eric Bührle. Anche a Bührle, grandissimo collezionista d’arte morto nel 1956, è stata intitolata una fondazione, che tra l’altro ha fornito alla Gianadda alcuni dei Cézanne esposti. Peccato che i soldi di famiglia siano derivati dal traffico d’armi – l’azienda di famiglia è la Oerlikon che equipaggiava tra gli altri gli aerei tedeschi e giapponesi durante la seconda guerra mondiale – e che sulla provenienza di alcune delle opere della collezione esista l’ombra nera del sospetto: potrebbero essere il frutto delle spoliazioni delle famiglie ebree. A Emil Georg infatti, i nazisti stavano assai simpatici. Un vizietto che il padre ha trasmesso al figlio Dieter, uomo dichiaratamente di destra e a suo tempo aperto sostenitore dell’apartheid in Sudafrica.
Non tutti i magnati sono uguali.