Kleo è una giovane comunista della DDR cresciuta nel mito del partito e addestrata dalla Stasi a compiere pericolose missioni all’estero. Nel 1987 riceve l’incarico di eliminare uno sconosciuto in una discoteca di Berlino Ovest, ma al suo ritorno in patria finisce in carcere con l’accusa di tradimento. Ne esce solo dopo il crollo del muro grazie a una amnistia per i detenuti politici, e decide di vendicarsi di tutti coloro che l’hanno incastrata. La aiutano nella impresa, dai risvolti imprevisti, un efebico giovanotto convinto di venire dallo spazio e un poliziotto imbranato che si innamora di lei.
Da poco disponibile su Netflix, la miniserie tedesca “Kleo” non è inquadrabile in un genere definito, perché mescola abilmente gli ingredienti tipici dei film di spionaggio con la satira sociale e una robusta dose di umorismo nero, esaltato dalla recitazione della giovane Jella Haase nei panni della fanatica che lentamente prende coscienza della realtà.
La trama si sviluppa senza annoiare, intrecciando le vicende della protagonista e dei suoi strampalati amici con quelle di personaggi reali come Margot, la potente e odiata moglie dell’allora presidente della repubblica Honecker, e l’ex capo della Stasi Mielke.
La parte più interessante della serie è però la corrosiva descrizione della vita nella DDR, con i suoi grigi burocrati e una popolazione indottrinata e disillusa, alle prese con gli enormi problemi della transizione al capitalismo. Il tutto in una atmosfera che ci si aspetterebbe plumbea, ma diventa quasi fiabesca grazie a una regia che punta tutto sul grottesco e sui colori vivaci di una curatissima fotografia.
Insomma, le otto puntate di “Kleo” sono la scelta giusta per chi vuole passare qualche ora divertendosi in modo intelligente. E pazienza se il finale lascia un po’ a desiderare. È il prezzo che si paga quando gli sceneggiatori devono lasciare aperta la possibilità di una seconda serie.
gbg